venerdì 16 novembre 2012

Una come te

Una come te


E' cambiato tutto e tutto è diventato niente un'inconclusione di quelle che avevo sempre temuto sospettato definito rimosso mi aveva sempre fatto paura mi aveva sempre lasciata in disuso un disagio mirato alla sconfinata inconsapevolezza del mio essere e tu eri lì e poi non c'eri più eri arrivato e così ugualmente facilmente assurdamente non c'eri più proprio tu che ci saresti sempre stato che la lontananza era un niente era una porta soltanto era vicinanza pure quel chilometro più in là tu proprio tu sei sparito.

Una come me era quella sempre cercata sempre spiata sempre voluta sempre amata nel tuo sempre che per me ancora non contava nulla che non ti vedevo che non ti cercavo che non ti conoscevo che non ti volevo per te ero io quella come me quella me che tanto osservavi da lontano quel lontano che poi è divenuto vicinanza quella lontananza che poi era niente era una porta soltanto era vicinanza quel chilometro un po' più in là quella come me da cui poi sei sparito.

E come ti vanti di saper dimenticare perchè è così niente ti scalfisce troppo ora una come me che ha sempre sbattuto la porta in faccia alle porte che le sbattevano in faccia che la sofferenza non centra nulla con una come me che ha sempre voglia di ridere che anche se non ne ha voglia ride lo stesso che ce la fa che si chiama Serena di nome e di fatto come dicono tutti una croce ormai una definizione ormai il mio essere sulla bocca degli altri nelle parole degli altri descritta così come se fosse normale come se fosse vero come se volessero farmici credere come se mi dicessero che è la mia condanna che è la mia prigione che è la mia libertà e allora nell'angolino tu riderai una come te deve ridere sempre sei nata per quello.

E allora non è giusto che ti insinui così perchè ormai rido sempre ormai la lontananza che poi era niente che era una porta soltanto che era vicinanza anche quel chilometro un po' più in là ora non è altro che lontananza non è altro che assenza non è altro che vuoto non è altro che buio e ripensarti mi dà gioia perchè una come me vede la gioia nelle cose belle anche quelle che finiscono anche quelle che smettono anche quelle che belle non sono più.

Una come me quella sempre cercata sempre spiata sempre voluta sempre amata nel tuo sempre che per me ancora non contava nulla che non ti vedevo che non ti cercavo che non ti conoscevo che non ti volevo dopo che è cambiato tutto sono ancora quella come me quella che il tuo tutto non conta più nulla che non ti vedo più che non ti cerco più che non ti conosco più ed anche se è triste non è triste perchè se sei triste guardi il cielo ed il cielo è così sconfinato che non riesco proprio davvero proprio per niente proprio mai a sentirmi una bambola rotta ed abbandonata ad aspettare su una sedia proprio no mi specchio nel cielo che mi rimanda un'immagine favolosa.

domenica 4 novembre 2012

A una bambina che danza nel vento

A una bambina che danza nel vento


Un'incostante ed acerba immagine colei che si immerge nel tuo sguardo.
Acqua stordita da increspature, minuscoli frammenti a bassa risoluzione che vorticano in un'infallibile apoteosi, connubio di una liricità dismessa.
Credo sia consapevole della vita che regali,
la mia intollerante e presuntuosa parte eretica uccide le farfalle del mio stomaco.
Brucerò e mi infiammerò d'ardori sconnessi,
incomprensibile sarà per te,
ma mi assaporerai,
un'osmosi che ti renderà allettante.
Cadiamo nell'oblio, risplendiamo come fuochi fatui, mordiamoci le guance.
Ma se tu rimani fuoco, io sarò sempre acqua.
E se ti spegnerò
saremo comunque destinati a languire insieme
in unica ed indistinta forma
in unica ed indistinta consistenza
in unica ed indistinta materia.
Tu la mia cenere
io le tue lacrime.

mercoledì 10 ottobre 2012

Memento mori


Memento mori



Il fiato corto si era dissipato e il sudore aveva cominciato ad asciugarsi sulla sua fronte, appiccicoso e salato. I battiti nel petto stavano ancora correndo, nonostante i piedi fossero fermi da vari minuti.
Prese una bottiglia di vino dallo scaffale e con i denti le tolse il tappo, morbido da un'apertura precedente, avanzo di un festino di cui non ricordava i volti. Bevve una lunga sorsata e lanciò la bottiglia nel lavello, poi sobbalzando e maledicendosi per il rumore.
Nessuno era al corrente dell'esistenza di quella casa, soleva soggiornare nella dimora del cardinale, ma la prevenzione era d'obbligo, aveva superato il limite.
Sollevò il lenzuolo dal cavalletto, facendolo scivolare a terra, afferrò un pennello e cominciò a mescolare il colore. Le tinte create erano per lui unica pace e armonia, ma al tempo stesso sua croce, ambizione mai appagata, motivo di sfogo, delizia graffiante. Intinse il pennello nell'acqua e il bicchiere si sfumò di nero, creando spirali di fumo liquido. Non serviva certo una vecchia zingara per interpretare l'umore del giovane, ed anche la scelta del colore parlava chiaro.
Era da tempo che faceva uscire i suoi soggetti da un tetro fondo nero, quasi sembrava che si sforzassero, con piedi pesanti, di liberarsi di quell'oscuro sipario, prigionieri su un palcoscenico di inifinita ombra e malinconia.
Distribuiva le pennellate in modo uniforme ma caotico, dipingeva senza disegno preparatorio, con ausilio unico della sua fantasia. Non temeva gli errori sulla tela, così come nella sua vita disadattata: cambiava pennello e ci passava sopra. Letteralmente.
Si chiese come avrebbe fatto, da quel momento. Non era cosa da poco, non poteva pensare di avere ancora le spalle coperte. Amici potenti e virtuosismo nella pittura non potevano riparare a tutti i mali.
Si domandò per quale motivo doveva essere così impulsivo; guardando al suo passato, mai aveva affrontato un discorso o un litigio in modo maturo e conciliante.
La sua difesa era l'attacco, e la violenza risolveva spesso la maggior parte dei problemi.
Ma come si può condurre una vita d'artista quando si è condannati alla decapitazione immediata? Chiunque lo avesse riconosciuto avrebbe potuto procedere alla condanna. Immediatamente.
Tornò con la mente all'episodio, mordendosi un labbro, ricominciando a sudare. Non soltanto era uno sporco spagnolo tifoso, ma pure succube delle grazie di madama Fillide Melandroni, tanto che lui. Per innumerevoli volte ripetè nella sua mente il doloroso ricordo della spada che trafiggeva mortalmente il rivale, dopo che la nemica l'aveva ferito.
Per innumerevoli volte cercò di analizzare meglio il ricordo, per trovare uno sgarro, per poter dimostrare che Ranuccio era vivo, modificare l'andamento della situazione, spostando la spada leggermente più su, invece che al cuore. Ma non funzionava, Ranuccio era morto. Era morto per mano sua.
Si domandò che diamine avrebbe potuto fare da allora, il suo protettore gli aveva intimato di non farsi vedere mentre cercava di calmare le acque. Non farsi vedere quando una regione intera ti da la caccia! Bazzecole!
Perchè aveva ucciso Ranuccio?
Un bagliore attraversò i suoi occhi mentre sempre più animato attaccava la tela,con rabbia e dolore e sudore e tremiti e grida. L'olio colava sul dipinto, uniforme come la lama di un coltello, forse come quella di una spada, forse una spada appena affilata, forse la spada che aveva ucciso Ranuccio, forse la sua.
Perchè se lo meritava.
Se lo meritava ed avrebbe dovuto ucciderlo prima. Se lo meritava e il colore rosso che colava dalla tela sui piedi avrebbe voluto fosse il suo sangue, voleva sentirlo, caldo e zampillante colare sulla sua mano che dipingeva la morte sua e si infilava nella ferita.
Era stata la scelta migliore.Anzi no, era stata giustizia.
Perchè lasciar vivere un cane di tali proporzioni? Che motivo avrebbe avuto, lasciarlo libero di godere dello stesso mondo in cui viveva lui?
Se lo meritava e mischiava i colori per dipingere il suo sangue, voleva una seconda volta togliergli la vita, voleva imprimerla in modo che tutti vedessero che era lui, lui soltanto, ad aver liberato il mondo da un tale peso e le grida si fecero forti e la rabbia si fece cieca, il sudore scivolava lungo il suo mento e una pulsante vena si era gonfiata sul collo del pittore.
D'un tratto sentì delle grida, lo risvegliarono, non erano le sue. Cercavano di abbattere la porta, delle grida alla porta, la sua porta, chi era?
Riprese coscienza della sua situazione quando sentì il tonfo della porta che fragorosa cadeva a terra, gettò al suolo il pennello e nell'uscire dalla finestra rovesciò la tela.
 
 
Un uomo entrò nella stanza seguito da qualche divisa. Osservò attentamente il vasellame da cucina sparso ovunque, la sporcizia, le bottiglie.
La tenda fluttuava come portata da un vento autunnale, sebbene non vi fosse un filo d'aria. In terra vi era una tela e l'uomo la sollevò. Era ancora fresca e raffigurava un ragazzino munito di spada, che con trionfo esibiva una testa mozzata. Gli occhi si arricchirono di stupore.
La testa era la sua, quella di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, rissaiolo ed omicida di Ranuccio Tommasoni nonchè pittore di grandissima fama.
- L'abbiamo trovato... - disse l'uomo.





lunedì 24 settembre 2012

Pocketful of sunshine

Pocketful of sunshine




Non dimenticare che non dimentico
E ricorda anche che io ricordo.

Odio sofferto di estremo plagio
Amore corretto di minimo sforzo.



Sei così immensa. 
Un granello. 
Una fine infinita.

lunedì 17 settembre 2012

let the rain wash away all the pain of yesterday


let the rain wash away all the pain of yesterday


Era verde quell'estiva bruma, come la celere e lisergica nebbia che oscurava gli occhi tuoi.
Eri una primavera d'infanzia oscurata dalla prima pioggia, rendevi la dolcezza di una camminata tra gli esili steli nascenti.
Ero un astro baluginante in balia delle onde, quei tumultuosi flutti privi di tatto.

Gli steli divennero fratte e la pelle cedette all'insolenza della regina, si tramutò in carne vivida e tu la lacerasti.

Era carminio quel fuoco ardente, quel bruciante contatto che esprimevano i tuoi arcani crepuscoli.
Fondi da tè le tue gote, dei lumi estinti provocatori ed insensati, nella tua incongruenza.
Astrazione per concretezza, di che annata è il tuo sangue?
Bere un bicchiere prelevando del vino. Un brindisi alla cecità emotiva.


domenica 16 settembre 2012

I miss the way things were

I miss the way things were



Se un infinito non bastasse, come reagirebbe la tua pelle?
Consapevolezza che ciò a cui nemmeno l'immaginazione può adattarsi sfugga da ogni tua capacità produttiva.
Insensato addirittura, o piuttosto, ironico ossimoro, ritenere l'infinito qualcosa di calcolabile. 
Uomo, hai mai donato l'infinito?
Sensazione tattile e paradossale di microemotività gratuite, totalmente indirizzate al solo ed immenso ed alto ed incontrollabile e lodevole istinto di amare senza pretesa alcuna.
Uomo, hai mai ricevuto l'infinito?
Esplosione sensoriale e debilitante che infanga e avvolge e strappa e ricuce e costruisce e limita per poi arricchire il tuo essere.
Uomo, definiscimi infinito.

Infinitamente mi ritraggo di ricchezze di altri, forse sono un riflesso, forse lo sei tu, forse ci stiamo specchiando.
Infinitamente mi costringo a guardare a fondo negli sguardi, richiedere occhi nei miei, lasciarmi vorticare libera in immagini non mie.
Infinitamente amo le persone, ne rimango sedotta, le incateno alle mie dita sperando di poter un giorno aprire le loro porte ed esserne accolta.
Infinitamente esse rimangono chiuse e loro non sono in grado di vedere quello che io vedo, che non vedo in me.